Alla fine dei 90 minuti col Verona, i tanti tifosi del Lecce hanno abbandonato lo stadio a testa bassa, ponendosi interrogativi e non trovando risposte alla prova incolore della propria squadra, di fronte ad un avversario di pari livello e in una partita che misurava il livello dei giallorossi.
La prestazione a Milano contro l’Inter della settimana precedente, nonostante il passivo pesante, aveva comunque mostrato una squadra dalle caratteristiche ben precise e definite, soprattutto in fase di possesso palla. Ci si poteva dunque attendere un Lecce sulla falsa riga di quello visto a San Siro: discreta attitudine in fase di costruzione del gioco, magari aumentandone il minutaggio come nelle intenzioni iniziali di mister Liverani, e riduzione del numero di occasioni concesse agli avversari, attraverso una fase difensiva più accorta. Per far ciò, il tecnico romano ha scelto di puntare sul suo modulo consolidato, inserendo dall’inizio tra le linee capitan Mancosu e cambiando di fatto tutta la catena laterale di sinistra, facendo esordire dal primo minuto sia Dell’Orco che Shakhov. La scelta di rinforzare fisicamente l’undici titolare, rinunciando a Calderoni e Petriccione, è stata probabilmente una diretta conseguenza delle caratteristiche della squadra avversaria. Juric, allievo di Gasperini, basa il suo calcio sui duelli individuali in tutte le zone del campo.
Date queste premesse, ci si attendeva un Hellas intenso in entrambe le fasi. Il risultato della partita sarebbe fortemente dipeso dalla predisposizione del Lecce a vincere questi duelli a tutto campo e dalla capacità di bloccare le catene laterali della squadra scaligera, altro cardine dell’interpretazione di gioco del tecnico croato.
I giallorossi hanno avuto un buon approccio alla gara, trovando sin dai primissimi minuti Mancosu in verticale tra le linee e guadagnando un calcio di punizione da cui è nata quella che è rimasta la più grande occasione creata dal Lecce nel match. Da quel momento in poi, infatti, il Verona è diventato padrone del campo, sfiorando alla fine del primo tempo un possesso palla vicino al 60% e mostrandosi pericoloso sui calci piazzati. La chiave del primo tempo di marca gialloblù sta nella capacità degli uomini di Juric di ingabbiare le fonti di gioco del Lecce, effettuando un pressing molto alto sulla prima costruzione e portando con Henderson una costante pressione su Tachtsidis, fortemente limitato durante il match. Il greco infatti chiuderà la gara con il 77% dei passaggi completati e una percentuale bassissima di passaggi verticali riusciti. La soluzione del Lecce è stata quindi quella di ricorrere spesso ai lanci lunghi verso le punte, che hanno fatto molta fatica a tenere palla contro dei centrali forti fisicamente. In questo senso, si è fatta molto sentire l’assenza di un attaccante di peso, capace di tenere testa ai difensori scaligeri.
Non a caso, nel secondo tempo e ancor di più dopo l’ingresso di La Mantia, i giallorossi hanno tentato un approccio diverso: il nuovo entrato teneva schiacciati i centrali del Verona, mentre Lapadula riceveva e distribuiva il pallone sulle fasce, cercando di dare ampiezza e respiro alla manovra e trovando in Dell’Orco l’uomo in grado di arrivare ai cross da cui nascono le occasioni di Majer e il discusso episodio arbitrale sul tiro di Shakhov.
Il gol di Pessina, arrivato all’81esimo, nasce dalla più classica delle azioni sulle catene laterali, non letta dalla difesa giallorossa. Saltato il terzino destro con un pallonetto, e complici l’ottimo velo di Verre e la lentezza dei centrocampisti leccesi nel ripiegare sull’uomo a rimorchio, Pessina si è ritrovato a calciare praticamente solo in mezzo all’area di rigore.
La prova dei ragazzi di Liverani è stata complessivamente molto sotto le aspettative, nonostante l’occasione finale di Mancosu potesse rendere meno amara la domenica calcistica dei tifosi giallorossi. Quello che emerge, e che viene giustamente sottolineato da Liverani a fine partita, è la mancata capacità del Lecce di mettere in campo elementi che vadano oltre la qualità. Secondo il tecnico romano infatti è necessario “cambiare il microchip nel cervello”, adattandosi a queste partite sporche e sviluppando un “istinto di sopravvivenza”, fatto di capacità di soffrire, tenacia, contrasti e malizia, da cui inevitabilmente passa la stagione del Lecce.
Dopo la partita, molti tifosi si saranno interrogati sulla capacità della squadra di reggere partite di questo livello e in questa categoria, anche alla luce del complesso calendario che aspetta la compagine giallorossa fino a novembre. D’altro canto però, siamo soltanto alla seconda giornata e fare soltanto del disfattismo spegnerebbe il bellissimo entusiasmo attorno alla squadra. Il compito arduo di mister Liverani adesso dovrà essere quello di tenere compatto l’ambiente, recuperare la condizione di alcuni giocatori apparsi fisicamente molli, integrare i nuovi arrivati e trovare alternative di gioco alle classiche verticalizzazioni e alla spasmodica ricerca dei piedi di Falco, trama apparsa sempre più frequente nel corso dell’ultima partita. Il fantasista tarantino è un calciatore forte che determinerà la stagione del Lecce, ma dipendere soltanto dalla sua buona vena è troppa poca cosa per una squadra che deve e vuole salvarsi.
Autore: Stefano Sozzo / Twitter: @stesozzo
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