Lunga intervista di Dennis Magrì ad Alberto Colombo, tecnico della Virtus Francavilla, in esclusiva ad Antenna Sud 85. Tra i temi trattati i risultati ottenuti dalla squadra, il modo di fare calcio, la vita extra-campo e futuro.

Sette punti conquistati. È il bottino che si aspettava di raccogliere?
“Onestamente non avevo fatto previsioni, perché la chiamata è stata inaspettata e tutto è stato fatto in modo rapido. Questo mi ha piacevole colto alla sprovvista: niente tabelle, abbiamo vissuto partita per partita cercando di capire il prima possibile qual era l’abito più adatto alla squadra. Speravo in una svolta da parte del gruppo a livello motivazionale, che è arrivata subito nella prima partita. Più fortunato che bravo all’inizio, poi ho cercato di implementare le mie idee. Sono soddisfatto del bottino raccolto, ma c’è un po’ di rammarico per i punti persi a Bisceglie e per quell’episodio ad Avellino che ci ha condannato. Ma l’unica prestazione sbagliata, a livello di approccio, è stata quella del Ventura”.

Ci siamo lasciati dopo la bella prova con la Viterbese. La più bella della sua gestione?
“Devo dire di sì. È stata una partita aperta, in cui le due squadre hanno giocato e mostrato di avere delle idee. Ho visto che i calciatori hanno cercato di lavorare sui concetti provati in allenamento e credo non ci sia cosa più bella da vedere per un allenatore”.

Che ne pensa di questo gruppo di ragazzi che ha trovato?
“Credo che ci sia un gruppo sano, fatto di bravi ragazzi, trovatosi in difficoltà per episodi o risultati. Non do giudizi su cosa è accaduto prima del mio arrivo, ma era evidente un contraccolpo psicologico, la poca serenità forse ha inciso sulle prestazioni. Sotto la mia gestione, ad esempio, contro la Cavese, le motivazioni c’erano ma la squadra era un po’ bloccata. Idem a Teramo, dove i ragazzi si sono sciolti solo dopo il gol”.

Il nome di un calciatore che secondo lei farà tanta strada.
“È ancora prematuro, hanno un percorso di crescita ancora da completare. Io non ho ancora visto, ad esempio, il vero Castorani. Tra una squalifica e scelte mie, per quello che vedevo negli allenamenti, non ha giocato molto. Ma se un centrocampista arriva a fare sei gol, vuol dire che può fare la differenza. Lo stesso Caporale ha ampi margini di miglioramento per poter ambire a categorie superiori. Così come Carella, che ha un futuro davanti ma tutto da scrivere. Poi, però, solo il rettangolo verde dà giudizi”.

E invece quello che è cresciuto di più sotto la sua gestione?
“Dico il gruppo. Faccio un esempio: Nunzella, ad esempio, l’ho visto crescere di allenamento in allenamento. Con lui, tutti. Ma in generale i senatori, così come Pambianchi, Franco e Maiorino. Hanno cercato di tirare fuori tutto per trainare i compagni. Un gruppo si vede quando cade e se ha la capacità di rialzarsi”.

Quando arrivò disse: “La città? Non sono qui per fare il turista…”. Ora ha visto un po’ Francavilla Fontana?
“Mi sono dedicato completamente al lavoro. Ho fatto un giro rapido in macchina di sera, nel rispetto delle norme del dpcm. Credo che qualunque città, per ogni allenatore, sia bella soprattutto quando le cose vanno bene a livello di campo”.

È la prima esperienza nel girone C: che ne pensa?
“Ho visto alcune differenze rispetto agli altri due gironi. Ho visto più aggressività, più agonismo. Ci sono buonissimi calciatori, forse il tasso tecnico lo ritengo inferiore”.

E chissà cosa avrebbe trovato con la presenza del pubblico…
“Credo proprio che la differenza sia a livello ambientale, infatti. La spinta del pubblico porta determinati calciatori ad esaltarsi nell’aggressività, nella lotta. È una mancanza che mi porto dentro, spero di colmarla nel futuro”.

Il 3-5-2 sulla carta, difesa a quattro: quando l’ha proposta alla squadra questa idea, ha trovato totale disponibilità?
“Al di là di un sistema, cerco di plasmare la squadra con dei principi nei confronti degli avversari. Cerco rotazioni, dei lavori di catena, degli smarcamenti che possano aiutarci a costruire l’azione in maniera più semplice e fluida, cercando la superiorità in fase di costruzione. Quindi provo a muovere i miei calciatori rispetto a un principio, quello della superiorità numerica. Ma la superiorità numerica per me è una: se ho un solo attaccante, non ha senso impostare con tre difensori, piuttosto ne faccio scalare uno sulla fascia”.

La cosiddetta difesa “a tre e mezzo” di Spalletti.
“Si prende sempre spunto da altri allenatori, poi ogni tecnico ci mette la farina del proprio sacco”.

In passato, invece, ha preferito il 4-3-1-2 o il 4-3-3.
“Per inesperienza prima ero legato al 4-3-3, lo amavo da calciatore perché lo consideravo un sistema in grado di coprire bene il campo. Da allenatore ho capito che al centro ci deve essere il giocatore e ho cambiato tanti sistemi. Un esempio è stato lo scorso anno ad Arzignano: eravamo partiti con l’idea del 4-3-3, poi ho visto che gli esterni offensivi facevano fatica e son passato al 4-3-1-2. A Reggio nel secondo anno è cambiata la punta, non garantiva i giusti tempi e ho aggiunto un compagno accanto passando al 3-5-2 non avendo un trequartista… Il cambiamento è una ricchezza, ma deve percepirlo anche la squadra. Se ha una cultura calcistica importante, allora può essere una soluzione fondamentale cambiare”.

Quindi pensa al 4-3-1-2 con Maiorino trequartista?
“Credo che una delle priorità dell’allenatore sia quella di mettere dei calciatori che possano far fare il salto di qualità alla squadra nelle migliori condizioni. Il modulo sceglietelo voi, ma per me Maiorino è un trequartista e deve giocare lì”.

Nel 2015 stava per portare la Reggiana in Serie B….
“Purtroppo siamo arrivati a un passo, sarebbe stata una svolta per la mia carriera. A quarant’anni ero al mio secondo anno tra i pro’. La mia squadra, insieme al Foggia di De Zerbi, era additata come le migliori da un punto di vista estetico e per pericolosità offensiva, giocavamo un buon calcio. L’obiettivo iniziale era la salvezza tranquilla, siamo arrivati a perdere la semifinale ai calci di rigori in quel di Bassano. Avevamo risvegliato l’entusiasmo che Reggio aveva perso dopo tanti anni. Oggi, con Alvini, è in Serie B e sono contento, tanti tifosi mi scrivono ancora”.

Lo scorso anno ha guidato, invece, l’Arzignano. Una realtà forse simile alla Virtus.
“È stata una scelta azzardata perché prima avevo allenato in piazze più blasonate. Avevo voglia di lavorare e ho accettato la proposta dell’Arzignano. Lo stop per il lockdown ci ha impedito di concludere il nostro lavoro, perché alla fine giocavamo un ottimo calcio nonostante i limiti offensivi. Siamo arrivati a dover fare i playout e lì ci ha ancora penalizzato la poca abilità sotto porta”.

Quanto conta per il suo modo di fare calcio l’impostazione da dietro? Spesso si riesce ad avere un po’ di superiorità in mezzo al campo…
“In base a quello che si nota dalle analisi-video, studiamo come l’avversario può venire a prenderci. Su un’aggressione più forte e costante si cerca subito la verticalizzazione. Ma se c’è spazio e possibilità, allora si richiede l’uscita dal basso, senza mettere in difficoltà il calciatore”.

Ci racconta un po’ quella chiamata con Magrì? Ha accettato senza pensarci più di tanto…
“È successo tutto intorno alle 22.30. Una persona mi ha avvisato qualche minuto prima che mi avrebbe chiamato il presidente. È stata una chiacchierata in cui abbiamo parlato della squadra, del mio pensiero di calcio. Ci siamo lasciati con l’appuntamento al mattino seguente. Invece poi son partito subito, per far capire la mia voglia di rimettermi in pista. A mezzanotte e mezza son partito, ho fatto undici ore di macchina per essere qui la mattina. Avevo solo bisogno di un’autocertificazione (sorride, ndr)”.

Devo dire di averla vista molto emozionata il giorno del suo arrivo. C’era più felicità, stanchezza o coraggio?
“C’era molta stanchezza, ma anche gioia. Perché era inaspettata una chiamata. Era anche complicato iniziare a lavorare a poche partite dalla fine, ma nonostante tutto sono riuscito a centrare l’obiettivo della salvezza”.

La parola che ripete più spesso durante gli allenamenti?
“’Gioca e muoviti’ oppure ‘Vai in avanti ad aggredire’. Sono cose che possono sembrare scontate, ma non è sempre così. La semplicità è molto importante, alcuni credono che il calcio sia qualcosa di più complesso…”.

Oltre il calcio?
“Da svincolato facevo il papà, portando i miei figli a scuola. O cucinavo, visto che mia moglie lavorava. Facevo il casalingo, cercavo di rendermi il più utile possibile. Anche perché non si poteva girare, non potevo andare a vedere allenamenti o partite. Non volevo mettere in difficoltà nessuno, viste le restrizioni”.

Con che testa in campo con il Palermo?
“C’è un’altra parola che uso con la squadra ed è ‘mentalità’. E quella che si vuole creare è vincente, che è tutto il contrario tra vincere o perdere. Io sto cercando con lo staff di infondere un atteggiamento vincente: reagire nei momenti di difficoltà, non essere passivi. A Bisceglie abbiamo subito la partita ed è tutto il contrario di ‘mentalità positiva’. Se tu ti arrendi sei un perdente in partenza. Contro il Palermo dobbiamo tirare fuori la forza di fare la prestazione, dobbiamo fare di tutto per uscire a testa alta e a livello professionale dal campo”.

Per un allenatore è difficile motivare i ragazzi senza un obiettivo da raggiungere?
“È meno difficile di ciò che si pensi. Il mondo del calcio non finisce a Francavilla. Io e i calciatori dobbiamo guadagnarci la conferma, oppure loro ambire a un nuovo contratto. Io non regalo giudizi falsi, sono il primo molto critico con me stesso. Pretendo il massimo, poi sono con loro e li difenderò fino alla morte. Ma voglio vedere il 100%, anche quando tutti pensano che siamo già in vacanza”.

Il futuro di Colombo vuole che sia a Francavilla?
“A fine campionato ne parleremo. Io sono contento, sto benissimo. A oggi non vedo motivi per cercare il posto altrove. Poi quando ci siederemo attorno al tavolo, ognuno di noi metterà sul piatto della bilancia le proprie aspettative”.

Sezione: Francavilla / Data: Mer 28 aprile 2021 alle 22:40
Autore: Redazione TuttoCalcioPuglia / Twitter: @redazionetcp
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