Ezio Capuano ha rilasciato un'intervista ai microfoni de La Gazzetta dello Sport. L'allenatore ha parlato della sua ultima esperienza sulla panchina rossonera e di cosa non ha funzionato. Di seguito, le sue parole:
Invece, si è dimesso parlando di situazioni "strane".
«Alleno da 34 anni di fila, penso di aver dimostrato che l'uomo è più importante dell'allenatore. Rifarei mille volte la scelta di Foggia, ma nell'intervallo dell'ultima partita ho deciso di andarmene. L’etica e il comportamento sono sopra tutto. E non è stata colpa del presidente Canonico».
È stata colpa dei giocatori?
«Preferisco giocatori affidabili a giocatori forti. Quelli che ti fanno vincere una partita ma poi distruggono la squadra non fanno per me. Sono subentrato in corso d’opera e mi sono dovuto adattare».
Allora cos'è successo?
«Quei tre giovani tifosi morti a Potenza mi hanno fatto sentire in colpa. Ho portato io i loro genitori all’obitorio a riconoscerli. Non me la sono sentita di continuare. Ho visto morire tre ragazzi che tifavano per la loro squadra e certi atteggiamenti non mi sono piaciuti».
Prima ha lasciato Taranto.
«Sì, ma lì ho fatto solo il ritiro. Dopo due anni di miracoli, c'è stato il disimpegno del presidente. Se fossi rimasto, non sarei stato Capuano».
Ora potrebbe tornare in panchina e diventare il primo allenatore a guidare tre squadre in una sola stagione.
«Me lo merito. Chi prende Capuano sa di prendere una persona seria. Sono autoritario; i giocatori devono rispondere alla città che li sostiene. Quando indossi una maglia, la devi rispettare, non metterti l'orecchino».
Lei è il "ras" della Serie C, soprattutto nel girone Sud.
«Nessuno ha la mia esperienza. Non sono il più bravo, ma sono quello che conosce meglio la categoria».
Magari la chiamano in Serie B.
«Dopo Foggia ho ricevuto due richieste, ma voglio aspettare. Magari qualcuno in B ci pensa. Serve una scelta razionale. Foggia l'ho scelta con il cuore, per la città e non per la squadra. Errore non da Capuano».
Aveva detto di sentirsi “una specie di pronto soccorso: c’è un incidente e chiamano me”.
«È successo tante volte, succederà ancora. Ma sempre con dignità. È una cosa che molti giovani dovrebbero capire».
Si definisce "allenatore del popolo". Ma allena per i tifosi o per i giocatori?
«Alleno i giocatori, e anche bene. Il pubblico mi dà la spinta per ottenere risultati. Conta la disciplina, non l'egocentrismo».
Al Nord le piazze sono più fredde.
«Sono stato a Modena, che non è una piazza fredda. Però è vero, a me serve il pubblico, la critica, la spinta. L'allenatore è come un pittore: i colori devono essere veri e puri per fare un bel quadro. Se sono sbiaditi, il quadro non viene bene».
Una volta ha detto che fare l’allenatore è come fare il prete.
«Serve vocazione. Non è un mestiere dove timbri il cartellino. Devi avere trasporto emotivo, stare 18 ore al campo e pensare solo a quello. È la tua vita».
Com’è cambiato il calcio?
«L’allenatore lavora più per se stesso che per la squadra, e se non ottiene risultati trova scuse. Facile così. Le idee innovative sono importanti, ma il calcio è sempre quello. E più scendi di categoria, più è difficile. Certi allenatori pensano allo spettacolo, ma quello si vede al circo. Io voglio solo vincere».
Lo diceva anche Allegri.
«E anche Mourinho. Le società sono aziende, quindi servono risultati, non l’estetica».
Però sono aziende del mondo dello spettacolo.
«Il calcio vende emozioni, non spettacolo. A Taranto siamo passati da 300 a 15.000 spettatori perché erano coinvolti, si divertivano, i bambini applaudivano. Questa è l’essenza del calcio».
Ci parli del "braccetto".
«Un guaio... (ride) Nella mia tesi a Coverciano parlavo del 3-5-2, che nessuno usava, e del braccetto di destra e sinistra, e mi davano del matto. Un bel guaio...».
Una volta ha detto a Guardiola: "Tu hai inguaiato ‘o pallone".
«Eravamo a Brescia, a cena. Lui è il migliore, tutti lo copiano. Ma senza giocatori adatti, è dura. Se vedi la costruzione dal basso in una partita dilettantistica, per me è distruzione dal basso. Pep si mise a ridere. A me piace recuperare palla e andare in porta velocemente; fanno un favore a me, così».
Un collega che ammira?
«Tanti. Quando ho affrontato Italiano gli ho detto che sarebbe arrivato in Serie A, lui mi dava del "lei". Poi ammiro De Zerbi, e tifo per Allegri e Mou, i più pragmatici di tutti».
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