Claudio e Andrea Giardino: due fratelli uniti ogni giorno dalla stessa passione e separati solo dalla distanza necessaria per inseguire i propri sogni. Due ragazzi cresciuti sotto lo sguardo attento di papà Alessandro e mamma Maria, che li hanno protetti, accompagnati e sostenuti passo dopo passo, vedendo maturare insieme a loro anche il loro talento. Dalle sfide infinite a casa, in spiaggia e sui campi, fino al salto tra i grandi: oggi Andrea difende da titolare i pali della Fidelis Andria a soli 16 anni, mentre Claudio veste la maglia del prestigioso Perugia in Serie C.  Papà Alessandro Giardino, collaboratore della Gio’ Sport Football Management, e mamma Maria hanno raccontato in esclusiva ai microfoni di Antenna Sud il percorso dei loro figli, ma anche le difficoltà, le emozioni e l’orgoglio che vivono ogni giorno accanto a due giovani calciatori che stanno costruendo il proprio futuro.

Inseparabili

Nonostante non siano nati insieme, papà Alessandro racconta quanto Claudio e Andrea siano sempre stati inseparabili. Basta ascoltare la sua voce per capire quanto ne sia orgoglioso: “Lo sono sempre stati e lo sono ancora oggi. A volte sembrano gemelli. Se devono scegliere come passare una giornata, scelgono di stare insieme: prima vengono loro due, poi tutto il resto.”

Il pallone, in casa, era una presenza fissa — così fissa che, per evitare danni, la famiglia fu costretta a prendere una decisione drastica: “Togliemmo tutto: erano sempre con il pallone tra i piedi.” Due fratelli, due identità diverse: “Claudio è sempre stato il gigante buono: pacifico, signorile, gentiluomo. Andrea, invece, è quello più protettivo, più… criminale. Non si fa passare nulla sotto il naso, ha tanto carattere. Lo dicono tutti i direttori sportivi: è ciò che lo contraddistingue. A 16 anni non giochi in Serie D nel girone H se non ce l’hai.” E tra loro, ogni giorno, una sfida nuova: “Si affrontavano sempre. Uno contro uno, gol, parate, arrabbiature… Litigavano, certo, ma dopo cinque minuti tornavano inseparabili”.

C’è chi, da bambino, ha già chiaro quale sarà il suo ruolo. Come Claudio: “Claudio è nato attaccante e lo è ancora”. E poi c’è chi inizia da una parte del campo e finisce dall’altra. A volte, addirittura, da giocatore di movimento a portiere: “Andrea inizialmente faceva l’esterno, lo ha fatto per circa quattro anni. Poi il cambio”. Il tutto è avvenuto quasi per caso, durante un giorno d’estate in spiaggia. Uno di quelli caldi e lunghi, scanditi da un pallone che rotola senza sosta. “Circa dieci anni fa gestivo un campo al Lido San Francesco, a Bari, fatto di sabbia. Un giorno mancava un portiere e si propose lui. Iniziò a volare da un palo all’altro. Finì la partita e mi disse: ‘Papà, io da oggi faccio il portiere’. Io gli chiesi se fosse pazzo, anche perché avrei dovuto comprare tutto il kit. Ma si impose. E da lì è nato l’Andrea portiere”. Una scelta che si è rivelata vincente fin da subito: “Siamo andati a fare diversi tornei importanti in giro per l’Italia e ha sempre vinto il premio come miglior portiere, per diversi anni di fila”.

Il gioco si fa più serio

Tutto stava andando nel verso giusto. I bambini stavano diventando ragazzi. Con loro crescevano anche le qualità, la consapevolezza e la voglia di fare un passo più grande. Di provare davvero a inseguire quel sogno che ogni bambino coltiva. E una famiglia che ama i propri figli, fa ciò che può per accompagnarli. “C’è stato un momento in cui Claudio aveva circa 17 centimetri in più rispetto alla media.” racconta papà Alessandro. “A quel punto capii che dovevo chiedere il parere di qualcuno. È lì che sono entrati nella nostra vita Valeriano Narcisi e Giovanni Tateo. Chiamai Valeriano, con cui eravamo già amici, e gli chiesi se potesse visionare Claudio. Lui ha sempre avuto solo calciatori grandi, ma quel giorno mi disse di sì. Vennero a vedere una partita a Modugno, lui e sua moglie Diletta. Da lì rimase scioccato”. Le sue parole furono chiare, e Alessandro le ricorda come fosse ieri: “Mi disse: ‘Ale, non ho mai visto un bambino nato per fare l’attaccante. Io lo prendo, ma devi fare ciò che ti dico io’”. Da quel momento è iniziato il percorso di Claudio e Andrea insieme a Valeriano Narcisi e Giovanni Tateo. “Li devo ringraziare davvero tanto. Io mi sono fatto da parte: li ho allenati e basta. Quando sono saliti — Claudio alla Juventus e Andrea al Parma — i direttori hanno fatto i complimenti proprio a Valeriano e Giovanni, per la preparazione con cui sono arrivati i ragazzi: dalla postura all’educazione”.

È stato un torneo internazionale a cambiare tutto. Il Trofeo Caroli Hotel, uno dei più prestigiosi d’Italia, ha permesso a Claudio di attirare l’attenzione dei club più importanti. “E’ andato a Lecce a dodici anni e mezzo e, durante il torneo Caroli, lo notarono Juventus, Inter, Milan, Parma, Bologna… tutte lo volevano. Si misero in fila per parlarmi e io li mandai da Valeriano. Da lì Claudio è andato alla Juventus”. Le visite ai club furono una corsa contro il tempo: “In un’unica giornata riuscimmo a vedere Juventus, Sassuolo e Inter. Le altre non riuscimmo a incontrarle perché la società bianconera spingeva molto.” Poi l’incrocio che avrebbe segnato anche il percorso di Andrea: “Mattia Notari, che aveva portato Claudio alla Juventus, poi ha lasciato i bianconeri ed è andato al Parma come direttore generale. Chiese a Valeriano di portare a Parma anche Andrea”. “Io li ho allenati alla Bari Campioni — prosegue Alessandro — e loro si allenavano con me. Ho il patentino da allenatore, solo che quando sono andati via entrambi, Valeriano mi propose di lavoro con loro e lasciai il ruolo di allenatore per fare il collaboratore di Valeriano e Giovanni”.

La partenza di Claudio e Andrea

La partenza di un figlio è, per un genitore, la parte più difficile. Vederlo crescere ogni giorno sotto i propri occhi e, all’improvviso, doverlo lasciare andare. “Quando è andato via Claudio è stato un colpo forte. All’inizio fu un passaggio intermedio quando partì per Lecce. Ci mancava, ma riuscivamo comunque a vederci ogni tanto. Quando invece andò alla Juventus fu dura davvero”.  Nonostante tutto, Claudio affronta quel momento con una maturità sorprendente: “Non ha mai battuto ciglio. Non ci ha mai dato la soddisfazione di chiedere di tornare a casa o di dirci ‘venite a prendermi, mi mancate’. È sempre stato forte: sapeva — e sa — quello che vuole”. Già da Lecce, infatti, aveva le idee chiare: “Mi diceva: ‘Papà, io devo andare via da qui. Devo andare più su’”. Quando poi è arrivato alla Juventus, il vuoto si è fatto sentire davvero: “La casa ha iniziato a diventare un po’ triste”. In questa situazione non sono solo i genitori a soffrire il distacco con il figlio. Anche per il piccolo Andrea non è stato semplice. Le sfide, gli abbracci, i segreti, le litigate con Claudio. Tutto ciò che li aveva resi inseparabili non ci sarebbe stato più. O almeno, non come prima. “Andrea si intristì, sentiva la mancanza del fratello, piangeva.” racconta Alessandro. “Quando poi è andato via anche lui, era già preparato mentalmente. Aveva vissuto le chiamate quotidiane che facevamo con  Claudio e le squadre. Sapeva cosa l’aspettava”.  Per i genitori, la partenza di Andrea fu ancora più duro: “Lì è stato ancora più brutto per me e mia moglie: la casa era diventata vuota”. Ma quella distanza è stata anche la loro forza: “Hanno iniziato a vivere esperienze meravigliose che li hanno formati. A 15 anni viaggiavano da soli, prendevano decisioni da soli. Sono entrambi uomini da almeno quattro anni”.

Juventus, Venezia, Perugia e l’azzurro: il percorso di Claudio Giardino

L’ingresso alla Juventus è stato il primo vero spartiacque. “Noi siamo tutti interisti” racconta Alessandro, sorridendo. “E Scaglia (direttore sportivo del settore giovanile della Juventus) gli disse: ‘Claudio, vuoi essere il 9 della Juve?’ Lui aveva quasi paura a rispondere, ma disse: ‘Con molto piacere’”. Da subito, la fiducia fu totale: “Scaglia gli disse che non pretendeva nulla, che andava bene anche se avesse fatto zero gol”. La risposta arrivò sul campo: dieci reti il primo anno, poi ancora gol il secondo, e di nuovo doppia cifra nel terzo. La Juventus lo ha formato sotto ogni aspetto. “Ha avuto tutto… e ha dato tutto. Ha preso un premio dalla Juve come esempio di giocatore ‘da Juventus’, dalla prima squadra al settore giovanile. E diversi premi anche a livello internazionale”. Un legame profondo, rimasto nel cuore della famiglia.

Poi l’esperienza al Venezia, molto diversa, ma forse ancora più formativa. “Dall’avere tutto, a Venezia ha avuto l’opposto. Ha dovuto imparare a cucinare, stirare, prendere le barche per spostarsi. A livello calcistico non è stato semplice, anche se ha segnato dieci gol”. Le difficoltà non erano solo logistiche: “Gli spagnoli che gestivano il club vietavano i cross, volevano portare il tiki-taka del Barcellona. Valeriano gli chiese: ‘Ma allora perché avete preso Claudio, che è quasi due metri?’”. Un periodo duro, ma fondamentale. “È stato faticoso, ma formativo. E lì ha trovato l’amore: Naima, una ragazza meravigliosa. Lei l’ha salvato, perché c’era davvero da scapparsene”. 

Ora il Perugia, in Serie C, la prima esperienza tra i grandi. Dopo due partite in Primavera è salito stabilmente in prima squadra. “È stata una scelta importante: tre anni di contratto da professionista. Per un 2007 è qualcosa di unico”. Il club umbro lo seguiva da tempo: “Lo volevano già l’anno scorso e offrirono una cifra enorme, ma la Juve rifiutò. Quest’anno sono riusciti a prenderlo: la Juventus ha mantenuto il 50% del cartellino e il diritto di recompra”. A Perugia lo considerano un potenziale fuoriclasse: “Stravedono per lui. Secondo loro diventerà una delle prime punte italiane più forti. È raro trovare uno così grande, con così tanta qualità. Ha solo bisogno di fiducia.” E poi il ritorno in nazionale: “Vederlo con quella maglia è stato unico. L’ultima volta era due anni fa, con l’U17. Quest’anno ha segnato contro la Scozia… un’emozione che non si può spiegare. È una gioia che bisogna provare”. Alessandro, inorgoglito, sorride: “Ho la maglia a casa. E non la darò mai a nessuno”.

Andrea Giardino, il Parma e il salto tra i grandi 

Andrea è rimasto tre anni al Parma, sempre titolare, sempre inamovibile: “Ha avuto una formazione incredibile. È andato via che aveva 13 anni.” Poi la svolta inattesa: “Quando è arrivata la proposta della Fidelis Andria in Serie D, è stato lui a chiederla a Valeriano. Gli disse: ‘Non voglio fare l’Under 18, perché non mi porti in Serie D?’”. Una richiesta da giocatore maturo, non da sedicenne. “Valeriano rimase stupito: sono cose che ti aspetti da un ragazzo di 18 anni. Siccome strutturalmente lo permette, abbiamo provato. Nessuno si aspettava andasse così”. La Fidelis Andria si fidò: “Lo presero a scatola chiusa, non lo conoscevano. Il direttore ci conosce bene, collaboriamo spesso con Califano. Prima c’era Summa in porta, poi alla prima occasione Andrea ha dimostrato di essere valido… e si è preso il posto. Se lo sta meritando tutto”.

Due percorsi diversi, lo stesso destino

Papà Alessandro lo aveva intuito da tempo: Claudio aveva qualcosa in più: “Con Claudio avevo già dei sentori: vedevo che aveva un’intensità diversa, un modo di stare in campo che non era normale per un bambino. Capivo che poteva fare il calciatore”. Andrea, invece, ha avuto un percorso diverso: “Lui era un esterno e scappava dai campi: dopo dieci minuti si sedeva, non voleva allenarsi. Per lui è stato un pensiero più tardivo”. La svolta per Andrea è arrivata più avanti, quando ha scoperto di voler fare il portiere. Da lì, entrambi hanno iniziato un percorso che li sta portando lontano: “Da tecnico, non da padre, posso dirlo: hanno una grande prospettiva. Ma ci vuole fortuna e il momento giusto”.

Fare il genitore di due ragazzi che inseguono un sogno non è mai semplice. Far combaciare quel ruolo con quello di agente, ancora meno. Alessandro lo sa bene: è un equilibrio fragile, che richiede sensibilità, fermezza e tanta pazienza. “Non è stato e non è tanto facile fare il genitore e l’agente. Sono molto orgoglioso, mi rendono molto orgoglioso”, racconta con la voce di chi ha visto crescere talento e responsabilità insieme. Ognuno dei figli ha preso una strada diversa, anche nelle ispirazioni. Claudio ha costruito il suo modo di essere attaccante osservando i giganti del ruolo: “Quando era più piccolo gli piaceva molto Ibrahimovic, poi si è catapultato su Dzeko, Lewandowski e Haaland. Sono questi i giocatori a cui si ispira. Ruba un po’ tutto da questi qui, avendo questa fisicità ha un po’ di tutti e tre. Anche se lo hanno paragonato molto a Dzeko”. Andrea, invece, ha un modello unico e chiaro: “L’unico portiere che gli è sempre piaciuto è Manuel Neuer”.

Due percorsi diversi, ma collegati dallo stesso filo: l’ambizione. È ciò che li ha accompagnati nel passaggio decisivo dal settore giovanile al calcio vero. Un momento delicato, come ricorda papà Alessandro: l’ingresso nelle prime squadre, le prime responsabilità, la necessità di dimostrare ogni giorno qualcosa in più. “Sono entrati nel momento più delicato del loro inizio di carriera. Ora non si scherza più, non sono più ragazzini. Ora parliamo di calcio vero. Il consiglio che do sempre, come mi ha insegnato Valeriano, è che sono più dolori che gioie. Quando arriva il momento negativo bisogna sempre rialzarsi. Camminare e pedalare. Il percorso è lungo”. Quello di Alessandro non è mai stato un discorso consolatorio, ma una bussola. Parla come un padre, ma anche come un uomo che conosce il calcio dentro e fuori. “Ora sono dei ragazzi che si stanno consolidando e devono dimostrare quello che possono fare. Gli dico sempre che ora sono delle matricole e devono subire: se c’è da soffrire devono farlo. Ma non devono mai abbassare la testa. Tutto quello che oggi sono se lo sono ricavati da soli. A noi non ci ha mai regalato niente nessuno”. E poi, come sempre, la riconoscenza verso chi li ha guidati fin da bambini: “Valeriano ha gestito la situazione in modo brillante dopo il torneo Caroli. E lo fa ancora adesso”.

Prima uomini, poi calciatori

Nel racconto di Alessandro, però, c’è anche lo spazio per qualcosa che va oltre il risultato: il desiderio che quei due bambini diventati uomini restino persone prima dei calciatori. “Prego sempre che i miei ragazzi diventino dei professionisti bravi, rispettosi e rispettati. Amati da tutti. Se non dovessero diventarlo, a me e mia moglie hanno già dato tante soddisfazioni. L’importante è che abbiano la testa sulle spalle e anche il piano B. Solo che il piano B è sempre il calcio”. Non manca l’orgoglio, quello più puro: “Anche mio papà era forte a giocare. Nessuno però è arrivato al loro livello. Portano lo scettro e sono orgoglioso di questo. Non sono ragazzi presuntuosi o vanitosi. La prima regola che ci siamo sempre dati è: piedi per terra”. In famiglia si parla spesso anche di quello che avrebbe potuto essere e non è stato. Come quel Parma–Juventus che avrebbe potuto incrociare i destini dei due fratelli: “C’è stato un momento in cui speravamo giocassero contro: Andrea voleva parare un rigore a Claudio. Purtroppo rimase in panchina. Vederli insieme o uno contro l’altro un giorno sarebbe una cosa bellissima”.

E poi c’è lo voce di mamma Maria. È lei a restituire l’essenza del carattere dei due figli, quelli che ha visto crescere ogni giorno: “Claudio è molto autocritico con se stesso. Non è mai soddisfatto. Anche se fa cento cose buone, quell’una sbagliata copre tutto. È preciso, pretende il massimo sempre. Se sbaglia, non vede l’ora di tornare in campo per correggersi. Andrea un po’ meno: guarda il lato positivo, recupera l’errore. Califano, il ds dell’Andria, dice sempre che Andrea lo devi frenare: ha fin troppo carattere”.

Forse un giorno li vedremo davvero l’uno contro l’altro: Claudio davanti alla porta, Andrea tra i pali, come quando erano bambini. Forse no. Ma qualunque maglia indosseranno, ovunque li porterà questo viaggio, c’è una cosa che non cambierà: Claudio e Andrea continueranno a camminare insieme. Magari lontani chilometri, ma sempre uno accanto all’altro. E con, anche quando non si vedrà, ci saranno sempre papà Alessandro e mamma Maria. Le due presenze che li hanno accompagnati fin qui e che continueranno a farlo, passo dopo passo, ovunque il calcio deciderà di portarli.

Sezione: Altre notizie / Data: Mar 18 novembre 2025 alle 13:41
Autore: Giovanni Scialpi
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