Caravaggio racconta un pareggio che assomiglia a un esame superato a metà. Atalanta Under 23-Foggia finisce 1-1, due rigori a fissare i paletti della partita, molto altro a spiegare perché i rossoneri sono usciti vivi da un contesto tecnico-tattico tipicamente “Zingonia”: pressione alta, duelli a uomo, ampiezza spinta sulle corsie e continui inviti a giocare in zone scomode. L’Atalanta avvia con il suo 3-4-2-1 “liquido” (Cortinovis e Vavassori a galleggiare tra le linee, Simonetto e Bergonzi a travasare cross), mentre il Foggia si dispone nel 3-5-2 di Rossi, baricentro medio, linea corta e attacco dello spazio in verticale appena il corridoio si apre. L’inizio è una prova di resistenza: Borbei deve subito sporcare i guanti su Navarro e, più avanti, sfoderare un paio di interventi che tengono la diga in piedi (45’, 66’, 83’), pur con qualche sbavatura in uscita (45’, 90’). La fotografia del primo tempo è nel rigore al 40’: tocco di braccio di Pazienza, FVS consultato, tecnologia povera (una sola telecamera) e decisione confermata. Cortinovis spiazza Borbei e indirizza un match che fino a quel momento aveva visto l’Atalanta generare volume e il Foggia vivere di ripartenze mancate, specie nelle letture dell’ultimo passaggio tra Sylla e Iličić.
Qui sta il primo tema tattico: l’uscita rossonera dal pressing. Con Winkelmann e Oliva mezzali a scaglione, Rossi prova a creare il “terzo uomo” sul lato forte per scavalcare la pressione e appoggiarsi alla sponda della punta. L’idea c’è, l’esecuzione meno: due transizioni potenzialmente letali si spengono nei piedi di Sylla, che non pesca Iličić nel momento giusto (23’, 28’). L’Atalanta, al contrario, riconquista e ribalta con routine: l’uomo più vicino va forte, il resto della squadra stringe e riempie l’area con i tre riferimenti interni. È il copione con cui i nerazzurri tengono il Foggia in apnea fino all’intervallo.
La ripresa però racconta un’altra partita: blocco un filo più alto, linee più compatte, e soprattutto un evento-svolta che nasce dalla stessa grammatica del calcio moderno. Al 56’ è Simonetto a colpire di mano: FVS, pochi dubbi, rigore. Sul dischetto va Iličić, freddezza e 1-1. Il gol non solo pareggia i conti, ma sgonfia la pressione atalantina; la squadra di Bocchetti, pur restando fedele al suo uomo su uomo, perde un giro di ritmo e concede ai rossoneri quel mezzo secondo che serve per respirare. Rossi ne approfitta alzando l’asticella fisica a centrocampo (Oliva governa il traffico con tempi e “gambe”, Winkelmann pressa in avanti, Pazienza si alterna tra schermo e rottura) e chiedendo ai quinti di fissare alto: Valietti prima e poi Garofalo costringono la linea bergamasca a pensarci due volte prima di buttarsi dentro.
La gestione degli episodi torna a pesare nel finale. Misitano e Manzoni impensieriscono ancora Borbei, che stringe i denti dopo un colpo alla mano (75’) e tiene il risultato con due parate “forti”. Dall’altra parte manca l’ultimo metro per trasformare un paio di seconde palle in tiri puliti: Pellegrino, dentro per Iličić, dà gamba e sacrificio ma non può incidere in rifinitura; Sylla finisce la benzina dopo una gara di rincorse e sportellate. Così l’Atalanta conserva la sua pericolosità per inerzia e palloni sporchi (rimessa lunga di Simonetto al 90’, letta male dal portiere), il Foggia prova a far valere la clemenza del cronometro e di un campo che, a quel punto, si è trasformato in un’arena di duelli più che di calcio posizionale.
In controluce rimane la tesi del giorno: quando i rossoneri riescono ad alzare di cinque metri la squadra e a “uscire” con principi (terzo uomo, lato debole pronto, appoggio-scarico breve), l’Atalanta U23 viene normalizzata; quando cedono un tempo di gioco alla pressione, tornano i limiti di conduzione e l’eccesso di verticalità forzata. Il punto è allora più che giusto e, per certi versi, prezioso: lo firma un Foggia capace di adattarsi senza perdere forma, di soffrire senza rinunciare alla sua idea, e di trovare nel rigore di Iličić la conferma che certe gerarchie offensive stanno prendendo corpo. A Caravaggio non è stata la partita perfetta, ma è stata la partita “giusta”: un passo in più nel processo di emancipazione da avversari che ti costringono a pensare e correre insieme. In Serie C, spesso, vale quanto una vittoria.
Autore: Francesco Ippolito / Twitter: @fraccio
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