Dal tracollo del Massimino alla corazzata del Monterisi, il Foggia di Delio Rossi ha già cambiato pelle più volte in cinque gare. La matrice è il 3-5-2, elastico in costruzione e prudente in non possesso, ma dentro questa cornice sono ruotati interpreti, altezze del blocco e compiti dei quinti. A Catania è andata in frantumi la distanza tra i reparti: baricentro incerto, coperture preventive assenti, linea esposta in campo aperto. Da lì nasce la correzione: campo corto, riconquista immediata e uscita più razionale dal basso, con Petermann ad abbassarsi tra i centrali e Garofalo mezzala-regista a dare qualità sulla prima verticalità. Contro il Sorrento l’identità ha preso forma: quinti più alti, inserimenti della mezzala sul lato debole, capacità di occupare l’area con tre uomini e sfruttare le seconde palle; la gara si è decisa anche grazie alla qualità palla ferma e all’aggressività nei 20 metri finali. A Giugliano, invece, il piano ha retto per un’ora ma si è spezzato sugli episodi: tre chiamate FVS senza esito, un rigore concesso nell’unico blackout di letture e la difficoltà, una volta sotto, a legare il gioco delle punte. È il filo che tornerà anche con il Latina: D’Amico ha indicato la strada occupando il mezzo spazio destro e leggendo le palle inattive, ma la squadra non ha chiuso la partita e ha pagato nel finale sull’unica vera smagliatura difensiva. A Cerignola, infine, lo step successivo: blocco compatto, gara “da cantiere” ma con principi chiari; Borbei risponde presente, la linea (Buttaro-Staver-Rizzo/Olivieri) gestisce meglio l’area e i quinti dosano rischi e spinta. È un punto che pesa perché certifica la tenuta dopo quattro trasferte negative in C sullo stesso campo.

La fase di possesso vive su due binari. Il primo è il lato forte con Garofalo: ricezione tra le linee, triangolo con il quinto e la punta che viene incontro, ricerca del corridoio per l’attacco dell’area. Il secondo è il cambio lato anticipato per servire l’esterno in corsa: quando l’esecuzione è rapida, il Foggia sale e rifinisce; quando è lenta, i cross diventano leggibili e Bevilacqua resta isolato sul primo palo. Qui si innesta il tema attacco: D’Amico è un “dieci mobile” che lega e vede porta, ma il reparto ha bisogno di un riferimento che pulisca palloni sporchi e alzi la presenza in area. L’inserimento di Sylla, Fossati e soprattutto Iličic servirà a stabilire gerarchie chiare: con un nove d’area D’Amico deve gravitare sul muro-scarico; con una punta di profondità (Sylla/Fossati) vanno codificati i lanci diretti e la famosa “terza corsa” della mezzala sul secondo palo.

In non possesso il salto è stato evidente: meno metri alle spalle, più disciplina nelle diagonali dei braccetti, migliore protezione del corridoio centrale con Petermann schermante e Castorri pronto alla riaggressione. Restano due difetti da limare: la gestione dei finali - Giugliano e Latina insegnano che basta un episodio - e la pulizia dell’area piccola sulle palle inattive avversarie, dove la prima respinta non sempre è seguita da una ri-uscita organizzata. Al contrario, a palla ferma offensiva il Foggia ha già una fisionomia: battute di qualità, traiettorie tese, attacco coordinato di Staver, Rizzo e Bevilacqua.

In sintesi, Rossi ha dato struttura e ha ridotto l’esposizione, ma la crescita passa ora dall’ultimo terzo: più uomini in area, rotazioni codificate tra quinto e mezzala, scelta definitiva del profilo di centravanti. Se l’integrazione dei nuovi chiuderà il cerchio, il Foggia potrà trasformare una buona fase di costruzione in una pericolosa fase di finalizzazione. La rotta è tracciata; il prossimo passo è far parlare il tabellino quanto le prestazioni.

Sezione: Primo piano / Data: Lun 22 settembre 2025 alle 09:59
Autore: Francesco Ippolito / Twitter: @fraccio
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